L’erba vorrei di Alberto Zino

http://www.psicanalisicritica.it/index.php/dossier/96-servitu-della-psicanalisi

[La rivista alfabeta2 ha pubblicato sul suo sito, dall’inizio dell’estate 2014, una serie di articoli intitolati “L’erba vorrei”, scritti da loro redattori e giornalisti. Per ringraziarli, non ho trovato di meglio che inviare loro a mia volta un po’ dell’erba su cui cammino, il 5 settembre 2014. La ripropongo qui volentieri, in favore di una forza di utopia: psicanalisi che disserve.]

Vorrei che la psicanalisi cessasse finalmente, più di un secolo dopo, di sistemare, rassicurare, diagnosticare, purificare, appaesare, consolare, adattare, che smettesse di fuggire, di fingersi quel che non è, di accomodarsi a diventare psicoterapia, vorrei che amasse ancora la sua formazione e le analisi didattiche.

Vorrei che si appassionasse all’inconcludente, all’inafferrabile, all’intrattenimento di Blanchot, vorrei che si proponesse come una pratica di parola e non una medicina, che cessasse di voler salvare come salvano i poteri o le morali, che sostituisse una salvezza costosa e illusoria – che ha il solo scopo di comprarsi una sicurezza vagamente da soluzione finale – con il godimento del frammento, del corpo a corpo con la domanda inquieta.

Vorrei che ancora scrivesse, invece di compilare testi accademici. Vorrei che non avesse più voglia di imitare padroni, lo psichiatra, lo psicologo, lo scienziato, il prete, che come sempre le lasceranno briciole di potere. Vorrei che non avesse più voglia di avere potere, che finalmente costruisse una leale alleanza con i suoi veri interlocutori, che sono la filosofia, la letteratura, la poesia, la musica, l’arte, il cinema o il teatro, non per psicanalizzarli o per esserne pedantemente riconosciuta, ma per affrontare insieme a loro l’inaffrontabile, che fa vivere.

Vorrei che ritornasse a sentirsi una delle tre cose impossibili di Freud: le altre essendo l’educazione e la politica. Con questa soprattutto, la psicanalisi dovrebbe (ri)cominciare a fare i conti, perché la posta in gioco di un’analisi è una certa libertà, che non è faccenda solitaria ma il primo bene comune.

Per farla, la politica, e per farsi politica senza alibi (Derrida), perché la psicanalisi è uno dei saperi più sovversivi apparsi in Occidente e non può ridursi a una sofisticata tecnica di adattamento all’esistente.

Vorrei poter dire della psicanalisi quel che Adorno dice della filosofia: che «si mantiene in vita perché è stato mancato il momento della sua realizzazione». Non per restare fuori dalla realizzazione, ma per costruirne, mancandola sempre, una propria.

Vorrei che imparasse l’arte di attenersi all’unica legge, non ne esistono altre, scolpita sulla pietra di antiche tavole, cui nessuno può sottrarsi, che sarebbe l’arte di tenere parola, “mormorio osceno e quasi impuro che non si ferma” (J.-L. Nancy).

Vorrei che imparasse l’arte: degli amanti inoperosi[37], che non vogliono ridursi alle pur necessarie certezze del mondo; delle verità libere, che sgorgano dalla sorgente di ogni analisi che non abbia paura di se stessa; dell’inconscio a venire, il solo che resta alla fine di un’analisi. Vorrei che non regolasse né tagliasse né bruciasse “l’erba vorrei”, ma che l’accarezzasse come fa il vento, per vederla crescere ancora.