Comunità, etimologie a confronto: communitas – 集体 jí tǐ
di Simonetta Silvestri Raggi
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La lingua cinese grazie alla ampiezza delle sue rappresentazioni e al potere evocativo delle immagini può offrire l’occasione di ripensare in una prospettiva originale il tema della comunità e tentare di suggerire un punto di svincolo dalle ambiguità e dai paradossi che la caratterizzano.
Il lavoro che qui si propone è un confronto tra ciò che emerge dall’analisi etimologica del latino communitas che il filosofo Roberto Esposito espone nel suo libro Communitas – origine e destino della comunità, e quello che l’etimologia del cinese jí tǐ (comunità) può comunicare.

Marcel Granet nella sua opera fondamentale Il pensiero cinese ci introduce dalle prime pagine al senso della lingua “La parola in cinese è ben altro che un segno che serva ad indicare un concetto. Non corrisponde affatto a una nozione della quale si tenga a fissare, in maniera per quanto è possibile definita, il grado di astrazione e generalizzazione. Essa evoca un complesso indefinito di immagini particolari, facendo emergere per prima la più efficace. La lingua mira in primo luogo ad agire. (…) I cinesi non sembrano essersi preoccupati di costituire un corpo di espressioni chiare, valide unicamente in quanto segni, ma in se stesse indifferenti. Sembrano piuttosto preoccuparsi che ogni termine della loro lingua li porti a sentire che la parola è atto. I cinesi non separano l’arte del linguaggio dagli altri procedimenti di segnalazione e azione. Esso sembra loro solidale con tutto un corpo di tecniche che servono a situare gli individui nel sistema di civiltà formato dalla società e dall’universo.” 1

Secondo il filosofo e sinologo François Jullien “La Cina fornisce quindi un terreno di sperimentazione ideale […] per mettere alla prova l’universalità di quelle nozioni “di base” che noi riteniamo ovvie.” 2 Ma avverte “Parlare della diversità delle culture in termini di differenza disinnesca in anticipo ciò che l’altro dell’altra cultura può apportare di esterno e di inatteso, al tempo stesso sorprendente e sconcertante, disorientante e incongruo. Il concetto di differenza ci colloca fin dall’inizio in una logica di integrazione – di classificazione e di specificazione – e non di scoperta.” 3
Anche Lacan parla della lingua cinese “A proposito del significante vi ho parlato a più riprese del carattere cinese. A tale proposito c’è un esempio che ho utilizzato perché era quello che mi serviva meglio: ho preso il primo tra quelli che sono articolati negli esempi, nelle forme arcaiche, nell’opera di Karlgreen che si chiama Grammata serica, quello che vuol dire esattamente: “i significanti cinesi”. Il primo di cui si serve nella sua forma moderna è il carattere Ke 可,che significa “potere” il cui radicale è Kou 口 bocca. Sembra che non sia senza ragione che potremmo affidarci alla radice che ne fornisce il commentatore, e che è molto graziosa, vale a dire che si tratta di una schematizzazione dell’urto della colonna d’aria che viene a spingere, nell’occlusiva gutturale, contro l’ostacolo che le oppone la parte posteriore della lingua contro il palato.Confessate pure che non è male che questo 可 sia stato scelto per raffigurare la parola potere, la possibilità, la funzione assiale introdotta nel mondo con l’avvento del soggetto nel reale.” 4
Ritroviamo lo stesso radicale Kou, bocca, nei caratteri di parola 话 huà e 词 ci’.

Communitas – origine e destino della comunità
In questa opera Roberto Esposito conduce la sua analisi nel tentativo di un rovesciamento radicale delle tradizionali concezioni di comunità che presuppongono la comunità come una proprietà dei soggetti che accomuna. “La comunità, scrive, non è traducibile nel lessico filosofico-politico se non al prezzo di una insostenibile distorsione – o addirittura perversione – di cui il nostro secolo ha avuto ben tragica esperienza.” 5
E prosegue “Se ci si ferma solo un attimo a riflettere fuori dagli schemi correnti, il dato più paradossale della questione è che il ‘comune’ è identificato con il suo più evidente contrario: è comune ciò che unisce in un’unica identità la proprietà – etnica, territoriale, spirituale – di ciascuno dei suoi membri. Essi hanno in comune il loro proprio; sono i proprietari del loro comune.” 5
Per sottrarsi a questa impasse l’autore cerca nell’etimologia del latino communitas la via per tracciare una idea totalmente differente del concetto di comunità.

Il termine munus (da communitas: cum – munus) significa dono nel senso del dovere, indica un obbligo. “Ne risulta che communitas è l’insieme di persone unite non da una proprietà, ma da un dovere o da un debito, non da un più ma da un meno. Il munus che la communitas condivide non è un avere, ma, al contrario, un debito, un pegno, un dono-da-dare. E dunque ciò che determinerà, che sta per divenire, che virtualmente già è, una mancanza… I soggetti della comunità sono uniti da un dovere – nel senso in cui si dice ‘ti devo qualcosa’, ma non ‘mi devi qualcosa’.” 5
L’indagine etimologica qui riportata in sintesi inaugura una serie di riflessioni politiche e filosofiche.
Nella comunitas secondo Esposito gli individui sono di fatto decentrati, investiti di una depropriazione originaria, si delineano come soggetti della propria mancanza. Essi non si accomunano tramite un principio di identificazione, ciò che incontrano è l’estraneità, quello che condividono è un vuoto che li rappresenta come mancanti a se stessi e dunque la communitas così intesa come un insieme di non-soggetti si struttura sul niente della cosa.
“Ecco l’accecante verità custodita nella piega etimologica della communitas, la cosa pubblica è inseparabile dal niente. Ed è proprio il niente della cosa il nostro fondo comune.” 5

Il vincolo con l’altro è avvertito come pericolo poiché segna la perdita del confine che garantisce la sopravvivenza dell’identità del singolo, il tratto distintivo della comunitas allora sembra essere la sua stessa incongruenza, se ciò che pare offrire è la condizione ospitale e protettiva più adeguata per l’uomo, al tempo stesso ne presume il suo possibile declino.
Dalla percezione di questo rischio intrinseco dato dalla esposizione all’altro, si sviluppa la strategia preventiva e conservativa per tutelarsi dai pericoli del munus attuando la sua immunizzazione: il progetto immunitario è ciò che libera dal debito, chiude, svincola e sgrava, estromette e isola, protegge in questo modo dalla contaminazione delle relazioni, e si connota infine come sindrome immunitaria.
È in questa luce, propone l’autore, che si può interpretare l’intero paradigma moderno.

“Quale destino allora per la soggettività presente e futura? Affidato ad un regime autoimmunitario il mondo – continua Esposito – vale a dire la vita umana nel suo complesso, non ha grandi probabilità di sopravvivenza. Io credo che la risposta a questa domanda non debba situarsi né fuori dal paradigma di immunizzazione, necessario alla conservazione della vita, né al suo interno. Che debba porsi sulla sua soglia, nella zona di confine che definisce, ma anche apre, il concetto di immunità alla relazione con il suo rovescio comune.”6

集体 jí tǐ
Vediamo ora dove conducono i caratteri cinesi 集体 jí tǐ, che significano comunità, cercando nel dizionario etimologico P. L. Wieger, nel Grand Ricci e nel Mathew’s Chinese English Dictionary, con il consiglio di lasciarsi catturare dalle immagini e dall’intreccio di relazioni che intessono tra loro.

Il carattere di sinistra jí traduce dal cinese antico il senso di incontrarsi, concentrarsi, riunire, assemblare e rappresenta un albero sul quale si radunano degli uccelli a coda corta. Si compone dei due radicali (componenti semantiche del carattere) “mu” “legno” e “zhui” uccelli a coda corta nella postura dell’atterraggio e nel numero di 3 a significare la moltitudine.

Il carattere di destra tǐ significa corpo umano e ancora: stato di una sostanza, essenza, conformazione, se stesso, realizzare, intimo, modello, sistema, mettersi al posto degli altri, cercare di comprendere, maniera di essere, natura fondamentale, stile calligrafico, forme di letteratura.
Il carattere è composto dal radicale di sinistra ren l’essere umano, per il quale si intende anche la virtù di umanità che anima gli esseri, e quello di destra ben che rappresenta un tronco di albero, un ceppo nel terreno i cui significati sono: origine, fondamenta, fermarsi e sostare.

A colpo d’occhio si può già intuire che non vi sono qui riferimenti all’idea che gli individui debbano dare un dono, un pegno, per poter entrare a far parte della comunità.
Semmai potremmo rintracciare da subito nella figura dell’albero quella disposizione naturale che permette il sostare insieme degli esseri umani in modo del tutto gratuito.

Il corpo – l’essere umano. 人, 躯, 形, 身, 体
Corpo in cinese si può dire in diversi modi e ciascun modo mette in rilievo quella dimensione del corpo che servirà ad essere utilizzata a seconda dei contesti. L’ampiezza delle rappresentazioni rende l’idea di come il corpo sfugga ad ogni presa riduttiva e oggettivante.
Francis Rouam, agopuntore e sinologo, nella sua relazione L’homme veritable du Cinabre-du Nord scrive:
“Il corpo non si riduce alla carne: esso emana, si dispiega, è attraversato. (…)
Di fatto, non esiste una parola unica e univoca per designare il corpo.
Si vedano per esempio i termini principali che si trovano nello Shi Ming (Precisazione dei Nomi):
Ren 人, di solito è tradotto come “uomo”, “Per Ren, si intende la virtù di umanità che anima gli esseri.”
Qu”.躯 indica la disposizione del corpo. “I vari aspetti funzionali del corpo sono identificati con precisione l’uno rispetto all’altro a motivo del loro nome.”
Xing, 形 forma corporea “Per xing, si intende ciò per il quale ci distinguiamo, ciò che ha forma e immagine.” Offre anche il senso di “traccia”. Il corpo (così come qualsiasi altro “oggetto”) è inferiore nella sua realtà materiale e sostanziale, rispetto alla traccia che lascia al seguito delle sue inter-interazioni con ciò che è fuori.
Shen 身 “Shen, significa ciò che si raddrizza, che può piegarsi e raddrizzarsi” In Zhong Guo Yi dian xue (Grande Dizionario della medicina cinese”, libro moderno), si dice: “Shen è il nome generico per il corpo. In alto sembra la testa, in basso sembra il piede, la parte anteriore sembra la pancia, la parte posteriore sembra la schiena, si piega e si raddrizza, fa triade con il cielo e la terra…” Questa definizione riassume e mette in evidenza la dimensione tutta dinamica (cioè esclusivamente legata ad una logica di trasformazione) del corpo, attraverso i suoi aspetti somatici, psicologici, comportamentali, sociali, etici, ecc… 7

Infine per tǐ 体, il carattere che viene usato per comunità “Bisogna intendere una successione ordinata; carne e ossa, capelli e sangue, dritto e rovescio, grande e piccolo seguono un modo ordinato. Le quattro coppie di parametri citati non sono scelte a caso: (nel cinese) vi sono allusioni alle strutture materiali della animazione e delle dinamiche del corpo, alla dialettica del visibile e dell’invisibile, alla relatività di opinioni e discorsi, alle posizioni reciproche degli oggetti del mondo, sia su un piano fisico o sociale, familiare, ecc.” 7

Nel pensiero cinese il corpo non è mai circoscrivibile a un oggetto anatomico e indipendente e anche quando lo si voglia afferrare nella sua struttura fondamentale non lo si può isolare né dal suo ambiente naturale e cosmologico né dal suo ambiente sociale:
“L’uomo ha 365 articolazioni che corrispondono ai 365 gradi celesti. Il suo corpo con le sue ossa e la sua carne è corrispondente all’interno della terra. In alto le orecchie e gli occhi corrispondono al sole e la luna. Il corpo ha orifizi e vene a immagine di valli e fiumi. Nella parte superiore la testa si innalza tonda a immagine del cielo. La capigliatura è simile a stelle e costellazioni…” 7

E ancora, nel Su Wen primo compendio di medicina (420 ac. circa) si legge:
“Il cuore ha la carica di signore e padrone, da cui procede la luminosità della mente, il polmone ha la carica di ministro e cancelliere, regola i meridiani, il fegato ha la carica di generale da cui procedono le analisi e le strategie, la colecisti ha la carica del giusto e dell’esatto, da cui procedono la determinazione e la decisione nel comportamento; tan zhong (energia del centro del petto) ha la carica degli agenti responsabili in loco e in missione, da cui procedono contentezza e gioia, la milza e lo stomaco sono responsabili dei granai e delle soffitte, da cui procedono i cinque sapori, l’intestino crasso ha l’incarico dei transiti da cui procedono i residui delle trasformazioni, l’intestino tenue è responsabile di ricevere e far prosperare, da cui procede la materia trasformata, i reni hanno l’incarico di generare il potere, da cui procedono l’abilità e il saper fare, il triplice riscaldatore è responsabile degli incroci e dei canali, da cui procede la conduzione dei liquidi; la vescica urinaria ha l’incarico dei territori e delle città, essa tesaurizza i liquidi corporei a seguito delle modifiche apportate dai soffi, da cui procede la potenza delle uscite… Fin dai tempi più antichi, la radice dei viventi vita si radica nello yin-yang; negli intervalli di cielo / terra, all’interno delle sei giunzioni, i suoi soffi, nei nove territori e nei nove orifizi, nelle cinque tesaurizzazioni e nei dodici meridiani di animazione che sono in libera comunicazione con il respiro del cielo… Nel cielo il mistero profondo, nell’uomo la Via, la Via genera il saper-fare…” 7

“Inoltre, è un fatto che, a secondo dei testi, delle occorrenze e dei contesti, psiche e soma sono o chiaramente differenziati – quando pare sia utile o necessario per l’argomento – o presi in considerazione allo stesso livello al punto che la loro differenziazione diventa irrilevante; emerge dunque un terzo concetto che è una non-identificazione della loro rispettiva esistenza epistemologica.” 8

“Nella tradizione cinese, il corpo non si dà mai di colpo, la sua realtà vivente è costantemente di essere, avere, organizzare, preparare, elaborare. Che un corpo diventi, per chiunque, il suo corpo – perché altrimenti la parola non ha alcun senso – nel duplice aspetto della appropriazione e dell’identificazione, suppone la creazione indefinitamente rinnovata del suo proprio spazio, il corpo è il suo spazio in un dato momento; “spazio”, nel senso che non solo i suoi limiti non lo circoscrivono ma lo definiscono provvisoriamente, ma soprattutto spazio nel senso che fonda, dove nasce il suo spessore, il suo movimento, la sua lucentezza e la sua evidenza, la brillantezza del suo aspetto, la giunzione tra il “non-ancora” e il “già lì”; è anche, per esempio, il luogo di enunciazione e di emissione della parola, il luogo dell’attenzione fluttuante.” 7

Il corpo dunque sembra immerso in una dimensione rituale quale fondamento stesso dell’esistenza e lo si può cogliere soltanto grazie alle interazioni mutevoli e reciproche col mondo circostante, il quale, del resto, non è mai considerato nel pensiero cinese secondo una prospettiva ontologica.
Il carattere 体 tǐ, dice il dizionario Ricci rivela anche il significato di stile calligrafico e forme di letteratura; ora, l’idea che si possa intendere il corpo che è l’essere umano, come stile calligrafico e di letteratura non solo fa assaporare quella pregnanza poetica che è tratto comune sia della medicina cinese tradizionale che delle varie tendenze filosofiche, ma suggerisce un paesaggio in cui gli umani differiscono tra loro come opere di scrittura, ciascuno secondo il proprio stile che è il proprio saper-fare. È l’attributo di vivente che di fatto deve esprimersi nelle opere calligrafiche in cui ciò che conta è che il soffio sia catturato dal pennello. Per questo si dice che se il calligrafo si pone in risonanza col mondo e i suoi soffi, potrà vedere il suo l’ideogramma di rondine volare via dal foglio…

L’etimologia di 集体 jí tǐ ci introduce un pò alla volta in un ambiente naturale che accoglie intimamente l’insieme delle differenze dei singoli quasi come fosse, concediamo qui spazio alla suggestione, una biblioteca vivente e dinamica.

L’albero – il legno 集 jí
L’albero così come il fiume e la montagna è una figura privilegiata nella filosofia taoista e nelle sue pratiche di nutrimento del soffio vitale quali si trovano nel Qi Gong e nel Tai chi Chuan.
Esso rappresenta egregiamente la cooperazione dello yin e dello yang, i due emblemi che fungono da catalogo di ogni relazione fenomenologica esistente.
Una parte yin ben radicata nell’oscurità umida della terra e una yang esposta alle alternanze delle modificazioni celesti alludono all’incontro interattivo e fecondo tra cielo e terra, tra l’alto e il basso, tra l’esterno e l’interno, tra il visibile e il nascosto, tra il latente e il manifesto.
La figura dell’albero nel pensiero cinese evoca al tempo stesso il radicamento e l’estroversione e si riferisce sempre alla stagione primaverile e agli inizi delle cose. Nei modelli analogici di corrispondenze che appartengono al pensiero cinese e in particolare alla teoria dei cinque elementi della medicina tradizionale, l’elemento legno rinvia al sito dell’est e al sorgere del sole, alla nota musicale MI, al colore verde e al sapore acido.
L’elemento legno cui è associata la mitezza del vento che non cessa di muovere, è messo in relazione alla forza ideativa e creativa, è il potenziale che si dispiega, nel corpo umano corrisponde alle funzioni del Fegato e della Vescica Biliare.
Questi organi considerati più come entità energetiche che come apparati anatomici governano le funzioni neuro-muscolari, i tendini e la vista. Del Fegato si dice che è lo stratega, il generale coraggioso e preveggente che vince senza combattere. Il riferimento qui è volto alle funzioni immunitarie dell’organismo; il sistema di difesa prima di tutto è preventivo, la sua abilità consiste nel mantenere in equilibrio la salute. Il suo moto è in apertura verso l’esterno.
Dall’albero siamo così ritornati all’essere umano, catturati da quella trama analogica che è il paradigma del pensiero cinese volto più all’efficacia del saper-fare che non alla ricerca di una verità universale.
Dovremmo chiederci ora, sulla traccia di Roberto Esposito che cosa hanno in comune i soggetti che fanno parte della comunità.

La natura (propria), la via e la ragione (delle cose)
Confucio contemplava la cascata imponente, né tartarughe giganti né caimani, né pesci vi potevano vivere, improvvisamente vide un uomo che stava nuotando tra i mulinelli e, scambiandolo per un suicida diede ordine ai suoi allievi di seguire la riva e di tirarlo fuori dall’Acqua…
“…Qualche centinaio di passi a valle l’uomo uscì dall’Acqua con i propri mezzi, i capelli sciolti, cantando, passeggiando sulla riva.”
Il maestro allora decide di interpellare il nuotatore ”Ti avevo quasi scambiato per uno spirito, ora constato invece che sei un uomo.Permettimi di chiederti qual’è il metodo per nuotare così agevolmente in tale turbolenza.”
“Non ne so proprio niente, ho dimenticato tutto, non possiedo alcuno dei metodi di cui mi parli, nessuno dei principi cui alludi per poter spiegare la capacità di nuotare in questo luogo inaccessibile…Sono nato in queste colline ed ho vissuto tranquillamente, a mio agio, questo è ciò che definisco GU (circostanza). Sono cresciuto nell’Acqua e mi ci trovo bene, mi ci adatto facilmente. Questa è la natura propria. Faccio quel che faccio senza sapere come.” 9

Il significato attribuito a natura 性 è inseparabile da quella “spontaneità naturale” Ziran 自然, che ha la prerogativa dell’immediatezza assoluta, questo concetto lo si ritrova diffusamente descritto nei testi taoisti come nell’aneddoto riportato del nuotatore e Confucio.
È una tendenza naturale degli esseri, ciascuno la sua, che non andrebbe mai ostacolata, essa è genuina, originaria e immediata, tuttavia come scrive Rouam:
“Essa dovrà ugualmente essere solidale alla “ragione delle cose,” il “lì” 理 che designa la struttura dei fenomeni, non solo a livello materiale, ma in ciò che riguarda le loro trasformazioni.” 7

Insieme alla nozione di Tao che significa Via, il “lì” 理 è una delle nozioni filosofiche più originali del pensiero cinese, l’etimologia del carattere fa riferimento alle venature della giada.
A questo proposito Anne Cheng, docente all’lnstitut national des langues et civilisations orientales di Parigi scrive:
“Se lo spirito greco è intriso dello spirito del vasaio, che lavora la massa amorfa dell’argilla rendendola dapprima perfettamente malleabile e quindi piegandola interamente all’idea dell’artigiano, constatiamo che il pensiero cinese era invece impregnato dello spirito del lapidario: questi sperimenta la resistenza della giada e impiega tutta la sua arte unicamente per trarre partito dal verso degli strati della materia grezza, ricavandone la forma che vi preesisteva e di cui nessuno poteva avere l’idea prima di scoprirla.” 10

L’esistenza di linee, traccie, reticolati attivi ma velati che suggeriscono una idea di armonia nelle cose e nei processi e che indirizzano alla logica del ben-fatto, non dipende da una legge superiore o divina nè da un principio di causalità, bensì da una sorta di pre/-scrizione naturale che promuove “una interpretazione interattiva del mondo, allo stesso tempo euristica etica ed estetica.” 7
“Questo concetto è simile a quello di tao 道 (nel carattere vi è l’immagine dell’orma di un piede)”
“La scarpa è il rito. Essa inquadra il piede, ed è perciò che si presta al senso del rito; l’aggiustamento (che è un interazione) della scarpa al piede è” rituale “nella misura in cui essa è correttamente modellata-formata, la ragione delle cose (il piede così com’è), afferma in ultima analisi, che la ragione stessa è un rito.
E il mondo come processo naturale è rituale: la sequenza del giorno e della notte, le stagioni, la crescita delle piante nei diversi periodi dell’anno, ecc, gli esempi potrebbero essere moltiplicati all’infinito; il corpo umano ugualmente partecipa dell’essere nel rito: “Nei tessuti del corpo degli esseri viventi vi è la ragione dei muscoli (Jili 肌理), la ragione della carne (couli 腠 理), la ragione delle linee pelle (Wenli). Per tagliare I tessuti c’è una linea di taglio senza sfrangiature: questa si chiama la linea della ragione (tiaoli 条理).” 7

Il procedimento euristico, sia nel confucianesimo (la regolazione sociale e la morale) che nel taoismo (la regolazione naturale e l’etica) con orientamenti differenti, si formalizza nel rito ed è per questo che il “lì” 理 la ragione delle cose ha una intima connivenza con il suo omofono LI 礼 rito.
Il “lì” 理 è l’estrinsecazione di un linguaggio nascosto nel caos delle apparenze che si rende conoscibile e decifrabile e che produce senso, ma questo senso, come fanno notare la Cheng e Rouam, non è statico e atemporale, non è teorico, ma dinamico perché tenta di aderire ai processi naturali in perpetuo mutamento.

Tao 道
Tao significa cammino, via centrale.

“Tutti gli autori, i Taoisti come gli altri, usano il termine Tao per indicare un complesso di idee che restano molto vicine… Al fondo di tutte le concezioni di Tao si ritrovano le nozioni di Ordine, Totalità, Responsabilità, di Efficacia.”
“Esso svolge il ruolo di un potere regolatore, non crea gli esseri, li fa essere così come sono. Presiede ai giochi di tutti i raggruppamenti di realtà operanti, ma senza che lo si consideri né come sostanza né come una forza. Regola i ritmi delle cose. Ogni realtà è definita dalla sua posizione nel tempo e nello spazio; in ogni realtà sta il Tao; e il Tao è il ritmo dello Spazio-Tempo.” 1

Le idee direttrici del pensiero cinese circolano attorno a questi significati e se si vuole tentare di comprendere, o meglio, intuire, e aggiungo, alla maniera taoista, ciò a cui rimanda l’etimologia di jí tǐ è necessario bagnarsi in queste acque, lasciarsi tingere…

“Il pensiero cinese non ha inquietudini, in generale. È un pensiero che non costruisce, ma che chiarisce. È un pensiero che apporta chiarore come quando si lucida la giada e si vedono apparire meglio le linee. Delucidazione senza fine che fa apparire le coerenze. Ciò che noi abbiamo chiamato pensiero, in Cina è tutt’altra cosa.” 11

I soggetti di jí tǐ hanno in comune non il debito come nella communitas che esamina Esposito, ma… un albero, prima ancora di incontrarsi tra loro essi si incontrano con “l’ospitale, il disponibile” .
La natura spontanea dell’albero è la disponibilità, il suo tao è la cooperazione tra cielo e terra,
il suo lì è il suo modo di agire le trasformazioni (esempio, la fotosintesi clorofilliana), il suo stile.
Queste nozioni appartengono a un dispositivo le cui funzioni non si opacizzano nell’indifferenza, non restano a far da sfondo all’individuo che si pone nella natura in posizione dominante, ma costruiscono una norma vera e propria, un indirizzo alla condotta, un suggerimento agli equilibri, a guisa di un manuale vivente per l’arte di star bene.
Di fatto i soggetti della comunità non solo tra loro hanno in comune l’incontro con il “disponibile” rappresentato dall’albero, hanno anche qualcosa in comune con l’albero, con il suo tao e il suo lì, le cooperazioni e le trasformazioni.
(Così come l’albero anche il corpo attinge alla luce solare, converte il 7-deidrocolesterolo (provitamina) della pelle nella previtamina D3 che sarà attivata nel fegato. È nota la potente attività immuno-modulante della vitamina D)

Il carattere 体 tǐ infatti, come abbiamo visto, è composto dal radicale di sinistra ren l’essere umano, e quello di destra ben che rappresenta un tronco di albero in cui l’elemento attivo è il legno.
Ci troviamo allora in una dialettica in cui è assente la dominanza di un oggetto attorno a cui ruota il senso dell’essere alla maniera occidentale, gli elementi linguistici traducono la realtà esprimendo l’idea del sincretismo.
L’elemento legno dell’albero è lo stesso che anima le funzioni del fegato e della vescica biliare, che presiede al moto, alla vista, alla visione e alla preveggenza strategica della difesa e mantiene relazioni vibranti con l’insieme dell’organismo e con il sistema del mondo.
Nella teoria dei cinque elementi della medicina cinese tradizionale l’acqua (reni) nutre il legno (fegato) che nutre il fuoco (cuore), il fuoco nutre la terra (milza) che nutre il metallo (polmoni) che nutre l’acqua.
Il riferimento importante al carattere immunitario che in virtù del modello analogico siamo autorizzati a trasporre in quanto funzione stessa in seno alla comunità, non indica una postura suscitata dalla paura dell’altro, ma un sapere intrinseco che è una abilità di mantenere la salute e la pace con saggezza.
E la saggezza è inscindibile dal corpo: “Mencio dice: la nostra forma del corpo (Xing 形) e il nostro aspetto sono la nostra natura 性 emanata dal cielo, solo il saggio può prendere pienamente
la sua forma corporea 圣人” , “l’uomo di qualità che aderisce alla sua natura, alla virtù dell’umanità, alla correttezza, all’osservanza dei riti e alla saggezza, è radicato nel suo proprio cuore, ha un aspetto florido, che si mostra nel volto e anche nella schiena e nei suoi membri, offre un messaggio intelligibile senza parole”. 7

Non sembra allora esserci quel soggetto mancante, fratturato, che avverte nella comunità il pericolo della sua dissoluzione, né la comunità pare qui fondarsi sul niente della cosa e avere parentele con l’idea della morte. Nell’etimologia dei caratteri cinesi si trovano tutt’altre tensioni, declinazioni, indirizzi. Il vuoto, altro grande concetto del pensiero cinese antico, in particolare taoista, non indica mai il niente, o quell’impossibile vertiginoso evocato dalla nozione di reale in Lacan, si riferisce invece all’operatività necessaria per ogni transizione, funzionale ad ogni mutamento. È senza nome per poterlo avere. Non vi sono qui nozioni statiche, anche il vuoto è parte integrante di ogni processo in cui la saggezza umana ha, per così dire, un corpo vibrante e lucente, perfino talismanico.

Per concludere, che altro serve allo sostare insieme degli umani, ciascuno secondo il proprio stile, se non disponibilità, cooperazione e adeguamento alla fecondità delle trasformazioni?
Se questa è la via del taoismo è a partire dalla lingua che se ne intravedono le traccie. E se qualcosa dell’ordine del suggerimento si può cogliere in quanto domanda, questa potrebbe riguardare la natura propria, il tao e il lì di ognuno e delle cose (in cinese cosa si dice dong xi 东西 che significa est-ovest).

Tanti sarebbero ancora gli approfondimenti che meriterebbero di essere fatti, tuttavia gli elementi posti sul tavolo della discussione potrebbero già da ora inaugurare quel tentativo di impensato cui si rivolge Roberto Esposito in queste righe conclusive:
Quale destino allora per la soggettività presente e futura?
“È lì, nella potenza ancora oscura dei nostri sistemi immunitari, che vanno cercate le risposte a una domanda che non riusciamo, per ora, neanche a formulare con esattezza, ma alla cui intensità è sospeso il nostro destino. Per farlo dobbiamo cercare di mutare la nostra visuale abituale, sforzarci di leggere la realtà non solo di fronte ma anche di lato e di rovescio, assumere un punto di vista che inizialmente non ci appartiene.” 6

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Note:

1) Marcel Granet, Il pensiero cinese, Adelphi, Milano 2004, p.24, 29, 31, 226, 244.

2) F. Jullien, L’universale e il comune. Il dialogo tra culture, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 86.

3) F. Jullien, Contro la comparazione. Lo “scarto” e il “tra”. Un altro accesso all’alterità, Mimesis, Milano-Udine 2014, p. 40-1.

4) Jacques Lacan, L’identificazione, seminario IX, Saint-Anne 1961-62, cap. 3 p. 83. Chi desidera l’intero seminario può farne richiesta tramite e-mail all’indirizzo: franco@borghero.it

5) Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi,Torino 2006, p. 7, 9, 13, 16.

6) Roberto Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002.

7) Francis Rouam, L’homme veritable du Cinabre-du Nord, mia traduzione.

8) Francis Rouam, Le corps et les phénomènes psychosomatiques au regard de la pensée chinoise traditionnelle, mia traduzione.

9) Zhuang-zi, Adelphi, Milano 2001, p.170.

10) Anne Cheng, Confucianesimo La ragione delle cose, festivalfilosofia Modena 2012, dalla trascrizione della relazione, Consorzio per il festivalfilosofia.

11) Rencontre avec François Jullien à la Société de psychanalyse freudienne, 12 janvier 2008, mia traduzione.