Tutti gli risparmiatori si pongono lo stesso interrogativo di fronte a proposte di nuovi buoni fruttiferi ad alto interesse: sono davvero un’occasione da non perdere, oppure nascondono insidie che il foglio informativo non evidenzia chiaramente? La corsa verso rendimenti più alti è iniziata per molti proprio per la frustrazione di tassi bancari insufficienti e inflazione che erode i risparmi. Tuttavia, tra promesse di rendimenti superiori al 4-5% e vincoli temporali che possono durare fino a 18 anni, emerge una domanda cruciale: conviene davvero bloccare i propri risparmi in questi strumenti, oppure existono alternative più flessibili?
I buoni fruttiferi ad alto interesse, nel senso più ampio, sono titoli di risparmio emessi da intermediari quali Poste Italiane e istituti bancari, garantiti dallo Stato per le versioni postali e strutturati secondo meccanismi di interesse fisso, variabile o indicizzato. A differenza dei conti corrente tradizionali, questi strumenti vincolano il capitale per periodi prestabiliti (da 4 a 18 anni a seconda della tipologia), promettendo in cambio rendimenti predeterminati che vanno dal 2,5% fino al 5% annuo lordo nei casi più favorevoli.
Perché i nuovi buoni fruttiferi attraggono così tanti risparmiatori
Il motivo principale è la semplicità: non servono competenze finanziarie per comprenderli, il capitale è garantito e i rendimenti sono comunicati con trasparenza fin dal momento della sottoscrizione. Inoltre, i rendimenti godono di una tassazione agevolata al 12,5%, inferiore a molti altri investimenti. Per chi ha bassa propensione al rischio, rappresentano una alternativa concreta ai conti deposito, spesso meno remunerativi.
Come funzionano i nuovi buoni fruttiferi ad alto interesse
Raramente il tasso di interesse rimane costante per tutta la durata: la maggior parte segue un meccanismo step-up, dove gli interessi aumentano gradualmente negli ultimi anni, spesso concentrando il grosso del rendimento verso la scadenza. Un esempio: il buono 3×4 riconosce l’1% dopo tre anni, l’1,50% dopo sei, il 2,25% dopo nove e il 3% a scadenza dopo dodici. Se si disinveste prima della fine, si perde quasi tutto il rendimento, ricevendo solo il capitale investito.
Il dato cruciale è che l’imposta di bollo si applica solo sugli importi superiori ai 5.000 euro e vengono calcolata sui rendimenti effettivamente maturati, alleggerendo il carico fiscale sui piccoli risparmiatori.
Quando conviene davvero investirvi
I buoni fruttiferi risultano vantaggiosi se possiedi un orizzonte temporale medio-lungo e riesci a immobilizzare il capitale senza necessità di accesso rapido. Sono ideali come “mattone difensivo” in un portafoglio, accanto a investimenti più dinamici, per stabilizzare i rendimenti.
I rischi da non sottovalutare
Il rischio maggiore è quello di liquidità: se hai bisogno improvviso di soldi, il disinvestimento anticipato annulla completamente i vantaggi promessi. Un secondo rischio concerne l’inflazione futura: un buono che oggi sembra conveniente potrebbe diventare antieconomico se i tassi di mercato saliranno significativamente. Infine, esistono differenze sostanziali tra prodotti semplici e buoni strutturati più complessi, legati a indici di mercato.
Cosa verificare prima di sottoscrivere
Poni sempre questa domanda: “Quale sarà esattamente il mio rendimento netto a scadenza, calcolando tasse e bollo?” Confronta il risultato con almeno due alternative (conti deposito, titoli di Stato) e ricorda che se non riesci a spiegare il prodotto in due minuti con parole tue, non è ancora il momento di firmare.
Torna alla proposta iniziale equipaggiato di queste informazioni e decidi con consapevolezza, non per paura di perdere un’occasione.




